L’ho uccisa perché l’amavo – recensione

Loredana Lipperini, Michela Murgia, “L’ho uccisa perché l’amavo”/FALSO!, Laterza, 2013, euro 9

 

Si tratta di un pamphlet (come gli altri della collana Idola di Laterza), il cui obiettivo dichiarato è quello di smontare le opinioni più diffuse e correnti intorno al tema del femminicidio: “…bisogna imparare a parlare di femminicidio. Non solo i mezzi di comunicazione devono farlo. Dobbiamo farlo noi, e voi: perché tutti siamo ormai, ognuno nel proprio ambito, comunicatori. Dobbiamo imparare a riflettere per far passare il messaggio giusto. Non dobbiamo semplificare, per nessun motivo. Perché il rischio è quello che la semplificazione cannibalizzi e annienti quanto è stato fatto e il moltissimo che resta da fare.”

 

Parole sante per chi, come noi impegnate da anni nel lavoro di contrasto e di denuncia della violenza maschile contro le donne, si trova oggi di fronte al seguente paradosso: aver tanto fatto per far emergere dal silenzio e dal chiuso delle mura domestiche la violenza che lì dentro si nutre e si consuma contro le donne, e trovarci adesso di fronte a un chiacchiericcio mediatico sempre più esteso e perciò sempre più superficiale, che finisce con lo svuotare denunce, analisi, proposte che vengono dai luoghi dove di quella violenza ci si è fatte carico nel lavoro quotidiano di accoglienza a migliaia di donne.

 

Ed ecco un elenco dei luoghi comuni di cui le autrici cercano di dimostrare la falsità e l’inconsistenza: il più diffuso è certamente quello (a cui fanno ricorso quasi sempre i media italiani nei servizi di cronaca che sono ovviamente i più letti) di spiegare e leggere il femminicidio come un intreccio tra due elementi ‘irrazionali’ , amore e malattia, facendo passare l’idea che a causare la morte violenta delle donne sia di volta in volta l’amore di uomini malati o la malattia di uomini innamorati. “Chiamarerelazione il dominio della vita della partner, chiamare gelosia l’ansia del controllo perso e soprattutto chiamare amore il rifiuto violento di accettare la libertà dell’altra persona è un’insopportabile manipolazione del significato reale delle parole.”

 

Altro luogo comune diffuso è che ‘l’omicidio non ha sesso’, che cioè nulla distingua il femminicidio da ogni altro omicidio: qui le autrici, dati e resoconti di fatti alla mano, non hanno difficoltà a smontare tale opinione, mostrando da un lato il fatto che la maggior parte dell’uccisione delle donne avviene in circostanze identiche, dall’altro che il femminicidio è assolutamente trasversale rispetto al censo e alla condizione economica e culturale di chi lo compie. Convincente anche il riferimento che le autrici fanno al ‘delitto d’onore’, superato legalmente nel 1981, ma ancora attivo nella mentalità e nell’approccio al problema.

 

Duro a morire e responsabile dell’atteggiamento che giustifica e minimizza, è anche lo stereotipo dell’uomo cacciatore e della donna seduttrice, che si nutre di famose e suggestive illustrazioni letterarie ed artistiche (dal Tasso della morte di Clorinda alla Lupa di G.Verga, alla Carmen, alle tante eroine di melodrammi e romanzi dell’800).
C’è, in fine, la posizione – presente anche in parte del mondo cattolico – di quelli che riconoscono la realtà del femminicidio ma che ritengono che il denominatore comune delle uccisioni di tante donne, non sia da ricercare nella cultura maschilista o nella diseguaglianza di potere tra i sessi, ma sia piuttosto “il frutto della ‘guerra ideologica’ aperta dal femminismo con le battaglie per i diritti e la parità sessuale…ad aprire il conflitto sono state le donne con rivendicazioni di parità che negano l’ordine naturale tra i sessi e cercano di minarne le fondamenta..dunque sta alle donne rimettere le cose a posto e far cessare le ostilità: basta dichiarare di essersi sbagliate e tornare alla casella iniziale.”

 

Da raccogliere per una discussione i rilievi critici che le autrici fanno nei confronti di quelle donne che si schierano contro il femminicidio in nome di una differenza intesa come naturale superiorità del sesso femminile: il riferimento è ad un articolo di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, in cui afferma: “Il cambiamento passerà solo attraverso una consapevolezza superiore, che non è quella della parità dei diritti, bensì quella della diversità nel suo significato ‘più sacro’: è la donna a garantire la fine o la continuazione della specie.”

 

Infine, da sottolineare , in Appendice, l’intervento di Isoke Aikpitanyi dell’Ass. vittime ed ex-vittime della tratta che, denunciando che nel 2012 in Italia sono state uccise 10 ragazze nigeriane, osserva: “Che 100 e passa donne italiane possano essere uccise è osceno, ma se le italiane fossero uccise con la stessa frequenza con la quale sono uccise le nigeriane, le donne uccise in Italia sarebbero 4000!” Rileva inoltre che , nei servizi ed azioni contro la tratta è lasciato assai poco spazio alle ex-vittime che, come operatrici alla pari, avrebbero più efficacia per combattere quello sfruttamento che hanno vissuto sulla propria pelle.

G.P.

 

 

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