Le vendicatrici – recensione

 Massimo Carlotto e Marco Videtta,Ksenia. Le vendicatrici, Einaudi Stile libero, 2013, Euro 15

Premetto che non sono una lettrice di noir e che libri di Carlotto non ne avevo mai letti prima d’ora. Debbo dire che la vicenda mi ha tenuto in sospeso e tre ore di treno sono passate nella lettura senza che me ne accorgessi : alla fine del viaggio ero già a metà romanzo. I due autori, in questo romanzo che viene presentato come il primo di una serie che ha il titolo Le Vendicatrici, intrecciano tra loro le storie di alcune donne: Ksenia, Luz, Eva e Sara: le tinte forti di queste storie e degli ambienti in cui si snodano, non hanno nulla di forzato o esagerato rispetto a quelle realtà di violenza e sfruttamento di fronte a cui si trova ogni giorno chi è attivo in un Centro antiviolenza.

C’è in questo primo romanzo una protagonista, la giovane siberiana Ksenia, portata in Italia, a Roma, da un losco trafficante di donne, tramite tra la mafia siberiana e quella romana, che con raggiri e promesse ‘convince’ la ragazza a seguirlo per sposare un italiano che le farà fare una bella vita: giunta a destinazione, Ksenia si rende conto che il suo passaporto rimane in mano al trafficante che in questo modo la obbliga a sposare un vecchio vizioso e ripugnante che esercita nel suo quartiere l’attività di strozzino oltre a tenere le fila di svariati affari sporchi.

Praticamente ridotta ad oggetto di una sessualità pervertita, Ksenia dopo qualche tempo conosce Luz, giovane donna colombiana che fa la prostituta per vivere e, come si scoprirà più tardi, per mantenere sua figlia in un collegio di suore: tra le due ragazze nasce una forte attrazione che si trasforma presto in una relazione amorosa molto intensa. Altre due donne entrano per circostanze diverse, in relazione con loro: Eva, una quarantenne romana proprietaria di una profumeria, lasciata nei guai da un marito che ha preferito a lei la giovane commessa e il vizio del gioco da cui è dominato; ultima del gruppo la risoluta e crudele Sara, che svolge un ruolo molto importante nelle vicende che da un certo momento in poi stringeranno insieme queste quattro vite, ma che rimarrà fino alla fine avvolta in un mistero.

Raccontare oltre l’intreccio del romanzo non mi sembra un favore a chi legge; piuttosto farò alcune osservazioni: la prima riguarda il modo molto sommario e semplificato con cui sono tratteggiati i caratteri delle donne e le loro reazioni alle violenza, egoismi e superficialità con cui sono trattate dagli uomini (è da dire che del mondo maschile viene data una immagine veramente senza speranza, con poche eccezioni: il vecchio cubano ex-castrista che fa il badante ad una malata e, alla fine, il commissario di polizia che svolge le indagini) .

La seconda osservazione è positiva e riguarda la scelta fatta dagli autori di rovesciare il punto di vista a cui siamo abituate da tanta stampa e da tanti approcci al problema , che fa vedere nelle donne le vittime destinate e incapaci di reazioni di fronte a questo universo maschile di violenza e sopraffazione: qui l’elemento di forza che riesce a trasformare le loro vite, a renderle coscienti della situazione in cui si trovano e a dar loro la forza per rifiutarla, è la relazione che stringono tra loro, sono i legami di amore o amicizia e comunque di solidarietà che le fa capaci di superare la solitudine e la contrapposizione tra donne, una delle radici della loro e nostra debolezza. Il ricorso da parte loro alle armi della violenza e dell’inganno per ‘vendicarsi’ di questi uomini va inteso anche in senso realistico o, come sembra suggerito dalla citazione in exergo del romanzo, di una pagina tratta da ‘Dio è violent’ di Luisa Muraro, è in primo luogo portatore di una valenza simbolica?

G.P.