Donne, migrazioni, confini – recensione

Roberta Ferrari, Donne, migrazioni, confini, in S.Mezzadra (a cura di),Movimenti indisciplinati, Ombre Corte, 2013, eu. 25, p. 29/49

Il volume curato da Sandro Mezzadra ha come obiettivo principale quello di mettere in discussione l’idea di una pretesa ‘oggettività’ e ‘neutralità’ della scienza delle migrazioni. Primo presupposto dei contributi del volume: le migrazioni contemporanee sono un perfetto esempio di ciò che viene definito “fatto sociale totale”. Esse investono cioè l’insieme delle dimensioni costitutive di una società, delle società di partenza come di quelle di arrivo passando attraverso quelle che le pratiche ‘transnazionali’ dei migranti pongono in relazione. Altro presupposto è l’individuazione del carattere antisistemico delle migrazioni che si manifesta anche se l’intenzione dei loro protagonisti non lo è: il carattere totale del fatto sociale ‘migrazioni’ si mostra nell’impossibilità di una sintesi degli elementi che lo compongono, nel momento in cui i suoi movimenti attraversano in continuazione (essendone a loro volta attraversati) tanto la linea del colore, quanto quella di genere quanto infine quella di classe.

Il saggio di R.Ferrari non si ferma ad una considerazione appiattente in senso statistico o solo descrittiva della migrazione femminile oggi, ma ha una pretesa più alta: “Al centro dell’analisi sta pertanto la questione: cosa dice la mobilità delle donne sul posto delle donne nel mondo? Guardare contemporaneamente al femminismo e ai movimenti globali per capire come reciprocamente si interrogano vuol dire, innanzitutto, restituire, da un lato, al femminismo l’autorità di un discorso sulle trasformazioni del mondo e, dall’altro, alle migranti, (…) i loro corpi di donne.”

Se i numeri ci dicono che già nel 2010 le donne erano il 51,6% di tutta la popolazione migrante su scala globale, ancora più significativo è il consistente numero di donne che migrano sole, di donne cioè che si muovono per lavorare, per mantenere le famiglie nei paesi di provenienza, intercettando la richiesta del lavoro di cura in costante crescita per motivi diversi (tra cui l’aumentata prosperità dei paesi ad economia emergente che richiede sempre più lavoro riproduttivo o la scarsa efficienza del Welfare pubblico, come ad es. in Italia).

Interessante è anche la quota di donne migranti laureate (il 17.6 % contro il 13.1% di uomini), che mette in luce il processo in atto di svalutazione e proletarizzazione entro cui queste migranti si trovano, ma fa vedere anche la ricerca di mobilità sociale e innalzamento del tenore di vita come molla per la partenza. Cresce anche la cosiddetta migrazione “circolare” o temporanea, che permette alle migranti di tornare dai figli temporaneamente affidati ad altre donne nei paesi di provenienza e ‘passare’ per un periodo definito, il lavoro ad altre donne ancora, in un circolo ‘virtuoso’ che peraltro fa dello spazio domestico l’unico luogo di vita. L’altra faccia dello spazio domestico è rappresentato poi dalle migranti coinvolte, in diversi modi, dal traffico del sesso.

I dati italiani riflettono in linea di massima il trend internazionale. Oltre a insistere sullo sfruttamento duplice sul mercato del lavoro, come donne e come migranti (livelli salariali, orari di lavoro estenuanti, isolamento, abusi, ecc.) e a sottolineare il carattere penalizzante della maternità che riguarda non solo il lavoro domestico e di cura, ma anche il lavoro in fabbrica o nelle cooperative, l’autrice mostra poi come la istituzionalizzazione delle badanti e della’migrante’ come figura precaria e domestica diventa centrale nell’organizzazione contemporanea del lavoro e rappresenta il nuovo volto del welfare dove i servizi sono acquistati sul mercato e non vengono più considerati un prolungamento della cittadinanza.

Il meccanismo del congiungimento familiare,poi, che lega il permesso di soggiorno delle donne a quello degli uomini, mostra come il governo delle migrazioni delle donne avvenga ancora sul piano di una cittadinanza patriarcale.

Il welfare rappresenta allora il terreno sul quale si riorganizza la (non)cittadinanza delle donne. La salarizzazione del lavoro riproduttivo, che non elimina il lavoro non pagato ancora assegnato primariamente alle donne, rappresenta un processo di “addomesticamento” del lavoro diretto alla cristallizzazione della divisione sessuale del lavoro su scala transnazionale e allo stesso tempo alla privatizzazione del luogo di lavoro,vale a dire alla spoliticizzazione del conflitto lavorativo.”

Se il dibattito italiano sulla migrazione femminile è stato dominato negli anni ’90 dal tema dell’integrazione e si è trascurata la soggettività messa in campo dalle migranti, in seguito, grazie soprattutto al fecondo apporto del dibattito teorico internazionale, sono emersi temi e punti di vista più critici e capaci di combinare e intrecciare tra loro elementi diversi come razza, sesso, classe, nazionalità, orientamento sessuale (i riferimenti sono a:Mapping the Margins di Krenshaw, Servant of Globalisation di Parrenas,Donne Globali di Ehrenreich e Hochschild 2004). Così si è giunti ad una immagine diversa della donna migrante. “Queste donne migrano perché rifiutano di lavorare per poi consegnare il salario a padri e mariti, e quando continuano a farlo attraverso le rimesse, lo fanno invertendo in buona parte gli schemi familiari tradizionali (…) Queste donne migrano anche per ambizione, immaginando un percorso autonomo per la propria vita.”

La ‘catena globale della cura’ comporta anche proliferazione di gerarchie interne alle relazioni tra donne: di fronte ad esse il dibattito femminista in Italia ha accentuato l’elemento conflittuale da un lato (il rapporto serve/padrone), ha tentato dall’altro (ad es. Muraro, Il valore delle colf) di vedere piuttosto la forza della complicità tra le donne stesse. Al contrario può succedere che ad essere fatto salvo dalla conflittualità di questi rapporti sia esclusivamente il ruolo maschile, libero dalle incombenze del lavoro riproduttivo. Per quel che riguarda le donne, invece, il ‘destino domestico’ continua ad intrappolare entrambe le figure, anche se in modo diverso, obbligandole nello schema serva-padrona.

E’ sul terreno della cittadinanza che si gioca la possibilità di uno scarto rispetto allo schema sopra analizzato, non però dando credito ad un allargamento della cittadinanza ad includere pienamente le donne, ma piuttosto lavorando sul carattere paradossale della cittadinanza sperimentata dalle migranti:

Le migranti spingono all’estremo il percorso delle donne oltre la cittadinanza, perché agendo da non cittadine non invocano la sola cittadinanza, ma incrinano le sue regole e mettono in tensione le sue norme. Le donne stanno al centro di questa crepa e pongono il problema critico della cittadinanza, riportando al suo interno la qu4estione del potere.”

Questi, in sintesi, i punti più interessanti di questo saggio molto denso di problemi e riferimenti tutti molto significativi, di cui è consigliabile la lettura e da cui potrebbe partire una discussione tra chi si sente in modi diversi e con posizionamenti diversi implicata e chiamata in causa dalla questione della migrazione. L’autrice fa riferimento al sito www.Migranda.org come luogo di elaborazione ed intervento sui temi della migrazione femminile.

G.P.