campagna di sensibilizzazione contro la discriminazione e lo sfruttamento lavorativo delle donne migranti

In vista dello sciopero globale dell’8 marzo, lanciamo una campagna di sensibilizzazione contro la discriminazione e lo sfruttamento lavorativo delle donne migranti.

Come Osservatorio sulla migrazione femminile del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia Romagna siamo in una posizione privilegiata, che ci permette di entrare in relazione, lavorare e fare politica con moltissime donne migranti.

Grazie a tale relazione abbiamo rilevato che tra gli elementi di maggiore ostacolo che le migranti incontrano per uscire dalla violenza domestica, dalle violenze legate all’onore, dal rischio di matrimoni forzati, dalle mutilazioni genitali femminili, dalla tratta e dallo sfruttamento ci sia il ricatto della dipendenza economica esercitato dal partner e/o dalla famiglia e/o dallo sfruttatore. A tale dipendenza dobbiamo sommare quella derivante dalla difficoltà di accedere ai diritti e ad assumere piena consapevolezza delle violenze subite.

In altre parole da un sistema patriarcale di partenza ad un sistema patriarcale di arrivo, le donne migranti si trovano in una situazione di grande ricattabilità. Ricattabilità che ben si materializza nel permesso di soggiorno per motivi familiari prima e per motivi di lavoro poi.

Quand’anche avvenga infatti la decisione di allontanarsi da casa o di sottrarsi alla rete criminale, le donne che cercano di rendersi autonome si imbattono in numerose difficoltà che vedono sommarsi quelle tipiche del re-inserimento nel mondo del lavoro ad altre derivanti da razzismo e sessismo.

La donna che vuole uscire dalla violenza si imbatte perciò in altre forme di violenza istituzionale, culturale e sociale in quanto donna: discriminazione, sfruttamento, flessibilità obbligatoria, mancanza di un welfare garantito e accessibile per la gestione delle figlie e dei figli, molestie sessuali e mobbing da parte del datore di lavoro o dei colleghi.

In quanto migrante la donna si trova in difficoltà a sostenere la propria scelta di autonomia rispetto alla propria comunità di appartenenza e verrà discriminata per il colore della pelle, per la scelta di portare il velo o di non portarlo, per le difficoltà linguistiche e così via.

Le donne richiedenti asilo  sono sopravvissute a molte forme di discriminazione e violenza maschile, nella sfera pubblica e in quella privata, nel paese dove sono nate, ma anche in quelli dove sono transitate e molte volte nel luogo d’arrivo. Se non vengono applicate misure legislative per il rispetto del principio di non respingimento, come prevede la Convenzione di Instanbul, le richiedenti asilo rischiano di essere rinviate in paesi dove la loro vita potrebbe essere in pericolo o dove potrebbero essere esposte a violenze o pene inumane e degradanti solo per il fatto di essere donne. L’alternativa è rimanere in uno stato di illegalità che esporrà le donne ad una spirale di violenze e sfruttamento maggiori.

Razzismo e sessismo hanno così finito per creare una sorta di mercato del lavoro parallelo, caratterizzato da assenza di diritti, paghe sempre più basse e condizioni sempre più degradanti.

Le donne possono scardinare questa fitta rete di sfruttamento e ricatto solo attraverso strumenti legali ed economici, capaci di garantire il diritto all’autodeterminazione.

Pretendiamo l’approvazione della legge sullo Ius Soli.

Condividiamo la rivendicazione del Movimento Non una di meno per il Reddito di Autodeterminazione.

Chiediamo che il Permesso di Soggiorno sia sganciato dalla condizione famigliare e lavorativa.

Vogliamo applicato il diritto al non-respingimento per le donne richiedenti asilo .