Vai pure

Carla dice «registriamo»? E io le dico «se tu fai una provocazione parliamo». E lei dice «Ma allora?». E così ha aperto il registratore. Non sappiamo cosa dire…Ah, sappiamo cosa dire…

 1980. Carla Lonzi e Pietro Consagra, suo compagno storico, registrano una conversazione lunga quattro giorni che segna la loro rottura: lo scopo non è la pubblicazione, ma tempo dopo Carla decide di farne un libro. Con questo “gesto di intervento, che rompe l’omertà del rapporto a due”, i due mettono a nudo i nodi più dolorosi dei rapporti d’amore e di potere, del ruolo della donna nella società e nella coppia, della posizione ambigua dell’artista e dell’intellettuale. Ma resta sempre qualcosa di irrisolto, di non cedibile: Carla, in un’estrema ricerca dell’autenticità, non ha paura di spogliarsi del suo ruolo sociale e di qualsiasi maschera, ma fa i conti con la mancanza di riconoscimento; Pietro si fa guidare in questo scavo ma non cede sulla sua identità di artista.

Vai pure non è solo uno straordinario documento ma soprattutto un modello e un monito: il rapporto vero, e quindi rivoluzionario, è solo quello in cui si arriva a mettere tutto, per prima cosa i ruoli e i rapporti di potere. Ma come farlo senza mettere a rischio quella che si sente come la propria identità?

Gli attori danno voce e corpo a questo dialogo profondo e doloroso, coraggioso e ironico, non di rado contorto ma pieno di dolcezza, su una scena essenziale che evoca il ruolo centrale dell’arte e della parola.

Trasformare questo testo in una messinscena teatrale acquista un senso maggiore alla luce delle ricerche condotte dalla Lonzi nell’ultima fase della sua vita; quando, a partire dalle figure femminili nelle opere di Molière, Carla si rivolge proprio al teatro per cercare tracce di quei modelli femminili che la “cultura” condanna al ridicolo e al tempo stesso impone. 

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